Lo Zen e l’arte dei mezzi pubblici


Cercare di essere in armonia con quanto ci circonda è un concetto molto zen e forse molto poco romano, tantomeno partenopeo. 
Io di certo orientale non sono e nemmeno credo in quei principi filosofici, ma devo dire che questa logica, nei limiti del mio carattere, mi trova d’accordo. 

Eppure ci sono esseri umani che fanno proprio di tutto perché tu decida di appiccicarli al muro anche se questo significa mettere da parte la tua presunta pace interiore. 
Qualche giorno fa, ad esempio, dopo una giornata lavorativa molto intensa, salto sull’autobus per tornare a casa. In coda era pieno, al centro non era possibile stare a causa di un odore nauseabondo, aria condizionata neanche a parlarne, così ho guadagnato un posticino a lato dell’autista. 
Nemmeno il tempo di afferrare gli “appositi sostegni”, ancora prima di ripartire, mi dice che No, vicino alla porta non potevo stare perché lui non vedeva! Così mi sono fatto più indietro ma No, così non vedeva di lato. 

Allora ho chiesto se un po’ più indietro andasse finalmente bene ma No, “l’auto” era tanto grande, potevo bene andare in fondo oppure al centro, non era necessario stessi lì! 

A quel punto tra il caldo, la puzza e la cafonaggine ho risposto che sarei ben sceso piuttosto che dare seguito ai suoi modi e così ho fatto. 
Devo ammettere che, in quel momento, complice la stanchezza, non ho augurato al suddetto di vincere al Superenalotto e neppure di passare un’estate da sballo, però già che io non gli abbia usato violenza credo mi ponga, a buon diritto, tra i prossimi beati. 
Mi sono detto Non ci pensare, prendi il bus successivo che magari arrivi anche prima. È così ho fatto. Eppure tenevo d’occhio la vettura e contavo in un sorpasso (il secondo bus salta alcune fermate, a Roma si chiama Linea Express) ma ad un certo punto l’ho perso e mi sono rassegnato. 
Eppure dopo qualche minuto, in cima ad una salita, dopo un semaforo e una stretta svolta a destra, lo rivedo. A mano a mano che ci stavamo avvicinando mi accorgo che non era fermo… con le 4 frecce. 

Si è rotto! Ho pensato con un certo ghigno. 
Poi però, arrivando in piano, ho visto una nuova Fiat 500 subito prima, anche lei con le luci di emergenza e il lato anteriore sinistro completamente grattato via …e di colore arancione. Come se un autobus (uno a caso) facendo una curva stretta non l’avesse vista.

Il mio ghigno aumentava…
Poi ho visto la signora alla guida della 500 che inveiva in maniera brutale contro “l’amato” autista che subiva, accusava e aveva perso la sua tracotanza. 

Super ghigno…
Ma la mia soddisfazione nel salutarlo mentre si giustificava con il collega, autista della mia vettura, quello no, non ha prezzo! 

Ghignissimo. 
L’armonia era finalmente tornata ad abitare nel mio cuore. 

PS: In fondo però la bestia aveva ragione: da quel lato davvero non ci vedeva! 

Ohmmmmmmmmmmmmm….

È stato allora che l’ho vista…

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Per età anagrafica nn sono, per così dire, “di primo pelo” ma neppure prossimo al prepensionamento. È il caso di dire che, seppure con le evidenti pregiudiziali del caso, barcollo ma nn mollo. Eppure oggi mi sn sentito improvvisamente vecchio.

Questa mattina, ancora “inzallanùto” di sonno, sono uscito da casa e ho avuto la netta sensazione che fosse arrivato l’inverno. Non riuscivo a spiegarmelo eppure anche la luce della bella giornata mi appariva un po’ lugubre. Ben presto ho capito: la potatura degli alberi dava al panorama un ché di spettrale.
Un po’ intristito e con una punta di ansia mi sn avviato verso l’ufficio. La strada, per essere un lunedì, era stranamente sgombra. Tutto mi appariva vagamente surreale. Sembrava la scena di una pellicola post apocalittica con Will Smith. Esterno giorno, tempo stupendo, la città deserta. Al Colosseo mi aspettavo quasi che un esercito di zombi salisse sull’autobus.
E invece no.

È stato allora che l’ho vista. Che ho visto Lei.
Caviglie sottili, gonna sotto al ginocchio, cuffiette iPod ultimo modello, borsetta agile, … altezza 140 cm, età over ’90, calze 900 denari (praticamente una muta da sub), mascella volitiva, capello alla Nicoletta Orsomando, bastone in lega leggera con luce a led incorporata, laccio da polso e gommino antiscivolo. Quasi mi aspettavo i Google-glass. Nn mi avrebbe meravigliato neppure vederla prendere posto con un triplo salto mortale.
La vecchietta Terminator 2.0. Quella che spedisce in traumatologia gli scippatori del caso. A guardarla l’ho subito immaginata madre inossidabile di almeno tre figli, opportunamente divisi tra incursori del reggimento di San Marco, granatieri di Sardegna e parà della Folgore.

Dopo poco il “mezzo” è ripartito e la vecchietta, dritta come un fuso, nn si è scomposta di un millimetro. Pareva attaccata a terra coi “fisher” (che a Roma chiamano “stop”).
Deve essere stato in quel momento che la mia sindrome da Peter Pan ha subito un colpo ferale. Quando quella sorta di Highlander ha attirato la mia attenzione e, con voce ferma e decisa mi ha chiesto:
“Qui c’è un posto, si vuole sedere???”

Roma in Prati e il Valhalla dei Parioli

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Io nn conosco Roma, questo si sa. Dopo avere lavorato per diverso tempo in una piccola TV locale – di cui nn farò il nome perché nn merita pubblicità alcuna, neppure negativa – ho ben pensato di rinchiudermi 9 anni or sono, in un bell’ufficio a trafficare con tonnellate di scartoffie. Di fatto, ahimè, la mia conoscenza della città possiamo dire sia rimasta ferma a quella data.
E così da anni sento magnificare gli eccelsi quartieri di Roma nord (al solito, nn potevano mai essere a Roma sud, nossignore), ma nn ho mai capito davvero di cosa si trattasse. O forse l’ho capito ma “nn mi sono fatto persuaso”.
Ho sempre considerato un “bel quartiere” come un posto sicuro, che ha sì dei buoni servizi, ma anche degli edifici architettonicamente curati magari in stile, molto verde certo ma senza rinunciare ad una bella vista (magari col Golfo, qualcuno sostiene si veda anche da qui). Insomma una sorta di Palazzo Donn’Anna trapiantato nella capitale. Invece, mio malgrado, fatto salvo il quartiere Coppedè e qualcos’altro qua e là, ho dovuto ricredermi.
Quando cerchi casa a Roma ti fanno delle rapine senza pistola (e poi ti fanno pure il buco in petto) vendendoti case popolari anni ’70 a cifre blu, solo perché gli hanno sostituito i proverbiali infissi in alluminio, hanno messo il Listone Giordano a terra, dato una ripulita e le hanno spacciate per case di lusso. E la cosa ancora più bella è che se le comprano (secondo me hanno la residenza a Roma ma sono nati a Milano o in Svizzera…).
Mi riferisco ai quartieri di Prati (ah, si dice che vivi “in” Prati e nn “a” Prati, sennò capiscono che sei pezzotto e ti tolgono pure il saluto), Parioli, Trieste e, chiaramente, Pinciano che, beninteso, non è vicino a via Pinciana, come del resto via dei Monti Parioli nn fa certo parte del quartiere Parioli (a Roma nord si divertono così, beati loro…).
Queste zone, lontanissime dal centro, vantano il classico clima alla Charlie Brown corredato di nuovoletta: d’estate si crepa di caldo e ti strapperesti la pelle di dosso e d’inverno invece ci si puzza di freddo con tonnellate di neve e manco qualcuno che ti pulisce la strada (tanto che lassù tengono le catene perché lo sanno), il tutto “intramezzato” da una doppia stagione monsonica, tanto per gradire (la moda delle galosce? Venuta giù con l’ultima alluvione dal Pinciano).
Quello che è peggio è che i suoi residenti te ne parlano anche con una punta di orgoglio! Manco fosse il paradiso del Valhalla, perso tra le cime innevate…
Il giorno in cui tu scendi in maniche di camicia per andare al lavoro e ti godi il primo sole capitolino di inizio estate, loro ci tengono a sottolineare come il termometro in casa segni 11 gradi!
Ma da dove vengono, dal Pollino!?

PS: questo post è dedicato ad un mio carissimo amico, ivi residente.
In effetti in passato gli ho chiesto spesso foto assolate di queste zone ma nn è riuscito a trovarne una.
Colpa della nebbia, credo.

Bis in Idem

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Oggi sono tornato ufficialmente da Bis, a Borgo Pio. In poco tempo Laura e Marina hanno realizzato un piccolo miracolo.
Nella primavera dell’anno scorso Bis era un timido angolino in cui si faceva cucina biologica espressa, dove le persone entravano esitanti attratti da un’estetica che “sa di buono” e restavano inchiodati da sapori, profumi e cortesia.
Una scommessa nella Roma assediata da turisti mordi e fuggi.

Oggi Bis è una bella realtà, fatta di rapporti quotidiani strutturati e genuini. Di simpatia e attenzione al singolo cliente (così rara oramai che è difficile anche descriverla). Ma anche di convenzioni con gli uffici e partnership con importanti griffe con sede a Roma. Alcune di queste hanno compreso che la qualità, prima ancora che nel prodotto offerto, parte da quello che mangiano i suoi dipendenti.

Ma veniamo al locale. Intanto il colore. Un tenue verde ti accoglie e ti circonda tra piante e intonaco. Il tutto sormontato da un bel tetto di travi e mattoni a vista.
Poi le persone. Lingue e culture si mescolano in un ambiente semplice e accogliente.

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Nella cucina, tutta a vista, si possono ammirare Andrea, occhi azzurri ed esperienza internazionale, e la bionda Solomìa, che dall’Ucraina ha portato in Italia il suo talento.
Io dico che le persone fanno la fila anche solo per vederli cucinare.

Alla cassa, e nn solo, Laura e Marina, due ragazze squisite che sono riuscite a rimanere fedeli a se stesse pur imparando a districarsi tra i mille problemi che questa avventura ha presentato loro.

Jolly Manuela, forse la più giovane. Il suo cappellone nero da chef nn riesce a nascondere alcune ciocche di capelli color Bis e un carattere bello tosto e determinato.
Una risorsa preziosa.

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Questa volta nn parlerò delle cose buonissime che ho assaggiato e neppure quel “ben-di-Dio” che ho visto passarmi davanti perché nn mi considero sufficientemente bravo da dipingere quel paradiso.
Dico solo che se la prima volta (leggi qui) sono stato letteralmente preso per la gola e forse non ho dato il giusto peso al contesto in cui mi trovavo posso dire che il gruppo di persone che ho conosciuto oggi è buono nn meno di quello che ho mangiato.
Ed era tutto squisito.
Quindi, se ancora nn siete andati a provarlo (si trova a via Vitelleschi 38/40, a 5 minuti da via della Conciliazione) è ora che vi diate una mossa! Parlare di Bis come di un posto solo in cui si mangia è stupido e riduttivo.

Una menzione speciale per Simona, che nn ho conosciuto perché era andata via e per super Marina che nn era di turno.
Un grazie di cuore a Laura, splendida padrona di casa e a Quartopianosenzascensore, per avermi fatto conoscere questa meraviglia.
ToMeTooYou, ci sei mancata.