Muzungu


Sembra che superati i trenta si inizi a ragionare. Verso i quaranta pare, invece, sia tempo di bilanci.
Non credo a tutto questo. Per quanto mi riguarda, più che di un bilancio, al massimo si tratterebbe di una curiosità.

Per carattere non amo i congiuntivi “da rimpianto” del tipo: ah, se avessi preso questa o quella decisione… Ma chi di noi non si è mai chiesto come sarebbe stata la sua vita se avesse fatto una scelta piuttosto che un’altra. Se quel famoso giorno invece che andare a mare fossi rimasto in montagna, o cose così.

Premetto che credo in ognuna delle scelte che ho fatto e non ho rimpianti. O forse un paio sì.

Avrei voluto descrivere in presa diretta paesi lontani come inviato di un quotidiano. Non so se avrei avuto la sensibilità e l’ostinazione necessari a fare il mestieraccio con la schiena dritta, ma mi sarebbe piaciuto. Avrei voluto saper raccontare con l’ironia di Caprarica, il fascino di Frajese, l’onesta di Pio d’Emilia, l’aneddotica di Montanelli, la simpatia di Zucconi, l’acume di D’Avanzo e, magari, la voce roca e scatarrante di Bordìn.

Un mostro in pratica.

In alternativa, ragionavo, avrei amato essere Muzungu, l’uomo bianco di Giobbe Covatta. Un missionario laico nell’Africa nera o in estremo oriente. Il monologo finale di Muzungu andrebbe trasmesso periodicamente. Le missioni di tutto il mondo si riempirebbero come il San Paolo la domenica.

E invece di fare queste belle scelte ho fatto un po’ come il Mark Renton di Trainspotting: ho scelto di non scegliere, o quasi (anche qui un grande monologo finale).

La verità forse è che ancora non ho deciso cosa farò da grande… Spero solo di capirlo prima della meritata pensione.

PS: Queste righe sono dedicate ad alcune persone speciali che a volte, per motivi diversi, non riescono a dormire, ma che tanta parte hanno nella vita l’uno dell’altro. E nella mia.

Buonanotte