Instituti Orientalis Neapolitani

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Università di Napoli “L’Orientale”

Ognuno di noi ha degli argomenti di cui parla con maggior piacere. I motivi per cui questo avviene sono i più diversi e tutti pienamente legittimi.
Personalmente sono anni che mi dedico, anche se non quanto vorrei, all’estremo oriente. Il mio interesse, che per competenza non arriva a potersi definire neppure un hobby, mi accompagna costantemente dal primo anno di iscrizione all’università che, già dal nome – “L’Orientale” di Napoli – avrebbe dovuto suggerirmi qualcosa.

Il glorioso Istituto Universitario Orientale, come si chiamava fino a qualche tempo fa, ha una tradizione di secoli e affonda le sue origini nel mondo religioso. A quanto mi risulta era il luogo dove, dopo il 1730, venivano mandati i giovani sacerdoti ad imparare il cinese (e le altre lingue orientali appunto) per poi partire alla volta dell’estremo oriente e fare opera di proselitismo.
L’Orientale dei primi anni novanta era un posto idilliaco (e per molti versi ritengo lo sia ancora): in pieno centro storico, all’interno di una sorta di campus naturale, milieu intellettuale e fucina alternativa. Luogo allo stesso contempo di lotta e di governo; di studio e di cazzeggio. Un posto dove non ti iscrivevi per diventare un manager milionario, per quello c’era già la Federico II, ma perché volevi capire, confrontarti, conoscere. Conoscere qualcosa che era altro dal tuo contesto, altro dalle tue certezze. Perfetto per chi, forse come me, sentiva che quelle certezze inculcate se non dalla famiglia certo dalla società erano, alla fine, molto relative e voleva ascoltare campane diverse.

Io nn sapevo ancora tutte queste cose quando mi sono iscritto e devo ringraziare chi mi ha convinto in pochi minuti e con un solo sguardo a snobbare l’ateneo federiciano per votarmi a quel posto un po’ naïf, dove le sedute di laurea si svolgevano in una cappella sconsacrata, dove l’eccentrico era la regola e l’ordinario puzzava di stantio. Un posto dove le lezioni si tenevano seduti gli uni sugli altri e tu con la borsa occupavi la mattonella anziché la sedia o la poltrona. Corsi con docenti istrionici come Franco Mazzei, estemporanei e eccezionali come Percy Allum e carismatici come Giorgio Mantici e per i quali rimbalzavi da un lato all’altro del centro storico, da un palazzo stupendo al successivo. Dalle Mura Greche alla Matteo Ripa. Dall’aperitivo al Vibes alla pizzetta di Sica. Islamisti, sinologi, yamatologi. Una mischia-francesca di interessi e di ragazzi da tutta Italia.
A suo tempo, infatti, per studiare cinese o giapponese toccava andare in alternativa solo a Venezia alla Ca’ Foscari, ma se volevi fare Scienze Politiche con cinese o giapponese quadriennali nn avevi alternative. Dovevi venire a confrontarti con Napoli e con l’Orientale, pure se “stavi di casa” a Milano o a Verona.

All’Orientale sono stato una vita. È stata la mia palestra nella palestra. Quando l’ho salutatA (per me è donna, come Napoli) l’ho fatto perché era ora e perché ormai tempo di conoscere e toccare con mano qualcosa di diverso.

Poco dopo sono andato via anche da Napoli. Ma solo per modo di dire.

Ho fatto pace con Roma

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Sono arrivato a Roma con un sogno nel cassetto e l’idea di restarci solo 2 giorni a settimana. Lo stretto necessario per un breve master. Avevo finito gli studi e, nn avendo arte né parte, Napoli nn mi dava grandi prospettive già allora – pre crisi.
Il tempo è passato in fretta e i 2 giorni iniziali sn diventati 3 di tirocinio spalmati su 4, e ben presto 5 lavorativi. Le cose hanno iniziato andare parecchio male ma almeno mi iniziavano a pagare.

Quei soldi hanno rappresentato una prima forma di indipendenza eppure nn sn stati facili. Il fine settimana infatti tornavo a casa e nn volevo mai parlare di Roma o del mio lavoro. Napoli è presto diventata un rifugio denso di amici e famiglia. Un luogo dove ero sempre felice e in vacanza. Bella, bellissima. Di Roma nn sapevo nulla perché ne scappavo appena possibile. Per me rappresentava solo lavoro e frustrazione e con lei i romani che, pur senza avere nessuna colpa effettiva, ai miei occhi avevano le loro responsabilità e meritavano al massimo la mia indifferenza.

C’è voluto oltre un anno e mezzo di fatica perché le cose andassero meglio e io e il mio lavoro prendessimo le “misure”. E se io sn stato abbastanza tenace da nn mollare un datore di lavoro che mai più avrei voluto abbandonare, c’è da dire che Roma e i romani (le mie amate colleghe) hanno avuto una gran parte in questo cambiamento di prospettiva.
Certo hanno le loro peculiarità, ma da questo punto di vista anche i napoletani nn scherzano. A differenza di questi, però, i romani hanno una cultura inclusiva. Mazzei avrebbe detto universalista, diametralmente opposta al particolarismo napoletano. Una cultura abituata ad accogliere popoli e culture da oltre 2000 anni. E questa meravigliosa caratteristica, spoglia da velleità imperialiste, sopravvive ancora oggi.

E così, tra un Marchese del Grillo, una Febbre da Cavallo, un Romanzo Criminale, un concerto di Mannarino e una miriade di esilaranti detti popolari, ho fatto pace con Roma e credo che questa dovrà sopportarmi ancora per parecchi anni a venire.
Eppure, anche se ormai vivo a Roma da dieci anni, nn divorzierò mai da Napoli.
So che Roma mi capirà.

PS: Grazie ai napoletani che vivono a Roma (specialmente 3-4 della prima ora) che mi hanno sempre fatto sentire a casa.
Adesso però cominciate ad essere un poco troppi! Ma una casa nn la tenete???