Sineddoche

Ho avuto qualche incidente di percorso nella mia vita, ma i problemi che più mi affliggono sono quelli sui quali non posso, o non riesco, a intervenire. Quando il problema si pone così, quel senso di impotenza, quella tristezza, non ti passano in nessun modo, perché hai la sensazione di stare perdendo tempo e che non stai aiutando le persone a te care.

È come vedere un’auto chiusa a chiave ma senza freno a mano che lentamente scivola verso un burrone.

Tu sei lì e ci provi a fermarla, ma quella continua e a te non importa di venire schiacciato, vorresti solo disperatamente che si fermasse perché la direzione è segnata e tu sai come andrà a finire e vorresti solo fare qualcosa, ma non puoi.

E allora ti viene il magone, piangi, spingi e ti disperi ma non serve a niente. E quasi vorresti che il problema fosse tuo, perché tu – ti racconti – sapresti cosa fare e come farlo – o almeno ti illudi che sia così – ma almeno sai che ci proveresti. E invece ti sanguinano le mani attaccato alla lamiera del paraurti. Vorresti entrare, cercare di mettere tu il freno a mano, ma non ne hai il diritto e non ne hai le chiavi, perché la macchina non ti appartiene.

Certo, forse è solo una macchina, ma è una macchina che ha un valore affettivo che tu non puoi spiegare a chi non la conosce. Bella o brutta che sia questa macchina è una parte di te e vederla cadere nel burrone è come perdere una parte di te stesso. E so di cosa parlo

P.S.: Tranquilli, stiamo tutti bene e in salute (o comunque non peggio del solito 😉) avrei dovuto scrivere questo post molto tempo fa

Calzini a strisce

Capire le persone che ci stanno vicine è una missione. Saperle ascoltare, mettere da parte noi stessi per riuscire a fare proprie le categorie altrui e comprenderne le logiche e il ragionamento, richiede tanta buona volontà ma soprattutto affetto. E lo so che ci sono fior fiori di professionisti che lo fanno senza lasciarsi coinvolgere emotivamente. Ma io non ne sarei capace. Non a caso faccio un altro mestiere.

Il mio è chiaramente un limite. Eppure credo di non potere capire davvero una persona se non le voglio davvero bene. E non basta un affetto accondiscendente. Quello va bene per le persone a cui sono affezionato, oppure che mi hanno profondamente deluso. È come se, anche nell’amicizia, io avessi bisogno di un affetto “passionale”. Io ho bisogno di emozionarmi quando guardo una persona a cui voglio bene. E, quando la ascolto, questa persona deve essere in condizione di farmi provare qualcosa, devo sentirla vicina, arrabbiarmi a volte. Oppure commuovermi, fin quasi a piangere.

Devo anche dire che conoscere le persone non è – e non può essere, nel mio caso – a senso unico. Io ascolto e capisco nella buona misura in cui gli altri sono liberi di conoscermi e io essere me stesso con loro. È la base di ogni rapporto. Sennò non si va da nessuna parte. Il problema sta nel fatto che più una persona mi conosce, tanto più io divento vulnerabile. E questo è un qualcosa che accetto molto di rado. Ho messo poche persone nella condizione di farmi del male e quando ho dovuto pagarne le conseguenze mi sono ripreso a stento.

Quindi non me ne voglia nessuno se normalmente tengo chiusi alcuni cassetti con la doppia mandata o voglio evitare di riempirne altri, ma per alcune cicatrici non bastano i punti

Empatia: Gioco d’azzardo

(Cit.)

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Stare vicino alle persone a cui vuoi bene non è una cosa semplice.

La difficoltà cambia da persona a persona, perché ognuno di noi è diverso da tutti gli altri e va compreso nella sua unicità.

Per uno tendenzialmente ansioso come me, ad esempio, la difficoltà è quella di riuscire a limitare la propria apprensione per non opprimere l’altra persona. Facile quando va tutto bene. Meno facile quando dall’altra parte sai che ci sono mille problemi. Che forse non sono i tuoi, ma se sei sincero è come se lo fossero.

È una cosa che adesso riesco a gestire abbastanza bene, ma di sicuro non è stato sempre così.

È come se il rapporto tra due persone fosse un equilibrio in continua evoluzione tra una empatia di base (di certo scaturita da una base affettiva molto forte) e il rispetto dei tempi, della privacy, della sensibilità e del pudore altrui.

Sapere stare al “proprio posto” ma esserci sempre è dura: a volte ti senti inutile perché vorresti disperatamente fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma non puoi. E questo ti distrugge.

Riuscire a gestire un affetto sincero, ma che sia pronto a fare un passo indietro, sia discreto e a volte non faccia neppure domande, è una bella scommessa. La mia.

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PS: Sono per natura una persona estremamente ponderata e so bene che che chi scommette prima o poi perde. E se da napoletano voglio bene a tutti, la mia città mi ha reso pure diffidente e così credo in poche, pochissime persone. Queste persone però meritano tutto il mio azzardo.

Una scelta di campo


Una giovane coppia che inizia a frequentarsi si imbatte in diverse prove, al cui confronto le fatiche di Ercole sono una passeggiata di salute. Angherie belle e buone volte a scoraggiare il malcapitato oppure, semplicemente, a valutarne motivazioni e risolutezza. 

Un primo vero test è “l’uscita” (pizza, cinema, aperitivo) con gli amici quando, tra gli altri, conosci la migliore amica. Che di solito è una sadica stronza ossessivo-compulsiva. Con sorriso modello Bestia di Satana te ne farà passare di cotte e di crude per testarti più di quanto si riserverebbe a una cavia da laboratorio, per poi dare il suo nulla osta con un gesto di malcelata sufficienza. 

Tutto questo mentre tu sorridi dolcemente per mantenere il tuo ruolo di uomo perfetto. 

Superata questa prima scrematura, il fidanzato modello si scontra con la cena coi colleghi, di solito nel periodo natalizio. Tavolate di esauriti, urlanti e ubriachi (dopo appena un sorso di vino) che rivolgono al malcapitato domande imbarazzanti alternate a barzellette spinte a cui, beninteso, non sai mai se devi o puoi ridere e soprattutto fino a che punto. Di solito il “carico da 11” lo mette il (o la) capoufficio che ti sottopone ad un vero colloquio di lavoro, finalizzato però non certo alla tua assunzione, quanto più al concreto rischio di licenziamento e sevizia del tuo compagno. 

Anche lì uno stress pazzesco. 

Superati i primi due stadi si passa al conoscere la famiglia. È qui che scatta il temutissimo pranzo coi parenti, in primis con i genitori. 

In questo caso si parte con la presentazione modello: Papà, questo è Giulio… panico senza manco i sofficini a stemperare la questione, fino alle 1000 sfaccettature di Ti presento i miei, Sfigatto compreso. 

Le aspettative di vita della coppia in questa circostanza si assottigliano drasticamente. 

In questi casi il malcapitato assiste a un’ordalia di pazzoidi tra zie che ti danno dolorosissimi pizzichi sulle guance e mariti che ti caricano il piatto all’inverosimile per vedere se alzi un sopracciglio. Completano il quadro il suocero che ti guarda con evidente compassione perché sa a cosa vai incontro e la suocera, che invece si diletta a studiare le tue fattezze e il modo in cui fai onore alla tavola mentre stringe in una mano il Galateo e nell’altra l’ultimo compendio di Lombroso. 

Risultati devastanti garantiti. 
Ma poniamo caso che, per qualche scherzo del destino, la coppia sia sopravvissuta e abbia pure superato magari il corollario di ex-fidanzati che immancabilmente tornano (oppure sono sempre stati lì, vai a capire). 

Dopo tutte queste forche caudine, senza saperlo, i fidanzatini vanno incontro ad una forma di selezione naturale. Solo dopo questa prova la coppia può dirsi davvero solida: la domenica da IKEA! 
Se qualcuno ha mai pensato che l’educazione dei figli determini uno dei massimo stress nella coppia beh, questo qualcuno non ha mai passato una giornata con il proprio compagno nel magazzino svedese per comprare “due sciocchezze”. A partire dal traffico e dal parcheggio, fino ad arrivare alla scelta di centinaia di utensili e stoviglie, sedie, divani, armadi e librerie Billy, centinaia di candele profumate… tutto questo scava a fondo nel rapporto a due, affondando gli artigli negli angoli reconditi del nostro inconscio, giù giù fino ad arrivare al quesito più dirimente. Una vera e propria scelta di campo, davanti alla quale si dice che addirittura Gianni Morandi e sua moglie Anna, in passato, abbiano avuto un momento di crisi. 

Cosa abbinare a pranzo alle polpette di Ikea: purea di patate o marmellata di mirtilli??? 

Disastro