Sono soltanto cose?

È vero, non bisogna attaccarsi alle cose. Bisogna lasciarle andare, come le persone. Ma, al pari di queste, a volte sono gli oggetti a restare attaccati a noi. Succede nelle case in affitto piuttosto che in quelle di famiglia, come negli uffici pubblici, tra una transizione e l’altra.

Piccoli e grandi oggetti con una loro indole e, soprattutto, una propria storia. Lasciati per fretta ma anche in ricordo (in eredità?) a testimoniare la moda o il gusto di chi li aveva acquistati e/o scelti per arredare, per rendere più “calda”, confortevole o anche funzionale una stanza.

Oggetti che se solo potessero raccontare e raccontarsi probabilmente traccerebbero storie degne di un romanzo. Poltrone, quadri, stampe, tavoli, sedie… bandiere. Ma a volte anche semplici sottomani, portapenne o tagliacarte.

Oggetti e arredi che presto o tardi anche noi lasceremo ad altri, magari per cominciare nuove avventure e, chissà, quelle cose forse un giorno parleranno di noi.

Belle Persone, merce rara

Le belle persone non sono perfette. Le belle persone credono in qualcosa e si battono per quello in cui credono. Le belle persone non sono per forza accomodanti e non devono piacere a tutti. Le belle persone non riescono sempre ma ci provano, fino in fondo. Le belle persone sbagliano, come sbagliamo tutti, ma sono oneste. Le belle persone si mettono in discussione e per questo sono quelle che poi crescono. Le belle persone si arrabbiano perché non si accontentano e vorrebbero essere migliori. Le belle persone non sempre le capisci ma non ti lasciano mai indifferente. Le belle persone vorresti riempirle di botte, ma non potresti mai farne a meno. Le belle persone non sanno di esserlo, perché le belle persone pensano che le belle persone siano altre.

Un “serio tentativo”

In questi ultimi sei mesi ho temuto di non farcela. Sia chiaro, non credevo che non ce l’avrebbe fatta chi doveva. Il miracolo, perché di questo dovremmo parlare, c’è stato.

Temevo di non reggere io. Emotivamente.

Sapevo di essere al limite. Sapevo di avere bisogno di “mettere carne a cuocere” ma di non poterlo fare, non in questo momento.

Temevo che se mi fossi fermato, se avessi esitato anche solo un attimo, sarei crollato. E quindi continuavo a rilanciare. Sempre più cose. Sempre più ripido. Sempre più veloce.

Poi è venuta l’estate. E mi sono dovuto fermare.

Ero destabilizzato, non potevo più rilanciare e ho avuto paura. Paura di non riuscire. E invece il tempo è passato e le cose sono andate avanti. I rapporti personali, l’affetto, l’impegno, la professionalità hanno tenuto. La squadra ha tenuto. In alcuni casi ho assistito a curve di apprendimento verticali per oltre due mesi. Razionalità e passione. Il meglio dei diversi approcci ma con un solo obiettivo.

Persone che non dormono, che non mangiano, che stanno male, ma non mollano. Mai.

Ho visto l’invidia. Ho visto la superficialità. Ho visto la provocazione.

Ma ho visto anche la determinazione, la resilienza, ho visto il rispetto.

E finalmente la consapevolezza. Il regalo più grande.

Non mi illudo che sia finita. Non lo è mai. Ma abbiamo messo un punto (cit. Gallo).

Bello grosso.

Buone Feste, a tutti

Sogno di una notte di mezza estate

Personalmente non sono partito per l’addio al celibato, e neppure per il viaggio di nozze. Non è capitato o, piuttosto, è capitato il contrario.

In effetti, a ben vedere, ci sono tante cose che non ho mai fatto, ad esempio non ho mai fumato nulla e, com’è ormai noto, non bevo caffè. Inoltre non sono ancora andato nei miei luoghi del cuore: a Lisbona e in Giappone. Meglio così, significa che nella vita ho ancora tanto da fare.

Al contrario però ci sono cose che ho fatto e che non tutti possono “vantare”, come passare due splendide settimane senza muovere un dito, servito e riverito, in terapia intensiva. Ricevere l’estrema unzione studiando i gesti apotropaici più adatti all’uopo. Venire imboccato a trent’anni suonati (sono soddisfazioni). Accogliere ospiti mezzo nudo e comodamente sdraiato come neppure un patrizio romano di epoca imperiale. Pensare il mondo da una prospettiva nuova oppure, successivamente, dare una pista a MacGyver nelle piccole cose di tutti i giorni.

Credo che la vita dia più di quanto ci prende, però spesso non ce rendiamo conto, perché siamo troppo concentrati su noi stessi e su quello che ancora non abbiamo.

È umano, succede a tutti e quindi anche a me.

Ma torniamo all’inizio. Da dove ero partito? Ah, già: l’addio al celibato.

Oggi una mia cara amica è partita per il suo addio al nubilato. Per me – che a mia volta in questo momento ho bisogno di pensieri felici – è stato forse più emozionante del normale. Probabilmente perché, senza andare tanto lontano, me la sono vista già con scarpe e vestito sull’altare tra poco più di due mesi.

Quando mi succedono queste cose – come quando mi hanno chiesto di leggere Shakespeare in pubblico all’ultimo momento – avverto una sensazione mista tra la contentezza e il panico più assoluto. Che può durare da diversi minuti a, nei casi più “gravi” (come a Santa Sabina), oltre un’ora.

Il problema è che se dico che qualcosa mi emoziona significa che io in quel momento davvero avverto un mezzo capogiro e che, come in un palazzetto dello sport, sento il battito che aumenta e il cuore che mi salta in gola, quasi volesse uscirmi dal petto. Un’emozione forte e bellissima. Destinata a non essere dimenticata. Un’emozione che intender non la può chi non la prova.

In attesa delle nozze, di altri sogni e pensieri felici altrui, ti auguro buon viaggio Senior.

Divertiti. La Cavalleria non servirà.