Se la vita fosse un viaggio…

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Ovvero: semel in anno licet essere se stessi?

Avete mai notato come le persone in viaggio cambino? Soprattutto se questo si svolge per lunghi periodi di tempo oppure, anche brevi, ma in solitaria.
È come se in queste occasioni alcuni cliché che ci siamo cuciti addosso venissero meno. Lasciando pieno spazio al gusto e alle necessità del momento. Con questo nn voglio dire che a casa siamo necessariamente una massa di ipocriti repressi che nn aspettano altro che un viaggio per “sfogare frustrazioni accumulate in settimana ad obbedire” (cit.). Dico solo che la condizione del viaggio in un posto dove nessuno ci conosce e dove magari siamo più rilassati, determina una maggiore serenità nell’essere noi stessi e nello scrollarci di dosso quelle convenzioni in cui nn crediamo – il ché, in definitiva, sarà pure la stessa cosa, ma in quest’ottica mi piace di più. Va bene!?

Mi piace osservare però che ci sn persone che nn hanno bisogno di stare lontani oltre 1000 chilometri da casa per liberarsi di tutte le pippe mentali che in tanti, a diverso titolo, ci hanno messo in testa fin da piccoli.
E così, seppure di martedì grasso e anche se siete a Vienna anziché a Venezia (ognuno Carnevale lo trascorre dove meglio crede), può capitarvi di vedere un ragazzo suppergiù di 25 anni per un metro e ottanta perfettamente vestito da tigre dei fumetti (Motro’ era proprio Tigro) che, con le sue belle cuffie ad alta fedeltà e il suo pelo arancione striato, sale sul tram e si siede come se nulla fosse nell’indifferenza più generale. Un mito.

La verità è che spesso, tranne forse proprio in viaggio o a Carnevale, quelli che portano una maschera siamo noi.

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Instituti Orientalis Neapolitani

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Università di Napoli “L’Orientale”

Ognuno di noi ha degli argomenti di cui parla con maggior piacere. I motivi per cui questo avviene sono i più diversi e tutti pienamente legittimi.
Personalmente sono anni che mi dedico, anche se non quanto vorrei, all’estremo oriente. Il mio interesse, che per competenza non arriva a potersi definire neppure un hobby, mi accompagna costantemente dal primo anno di iscrizione all’università che, già dal nome – “L’Orientale” di Napoli – avrebbe dovuto suggerirmi qualcosa.

Il glorioso Istituto Universitario Orientale, come si chiamava fino a qualche tempo fa, ha una tradizione di secoli e affonda le sue origini nel mondo religioso. A quanto mi risulta era il luogo dove, dopo il 1730, venivano mandati i giovani sacerdoti ad imparare il cinese (e le altre lingue orientali appunto) per poi partire alla volta dell’estremo oriente e fare opera di proselitismo.
L’Orientale dei primi anni novanta era un posto idilliaco (e per molti versi ritengo lo sia ancora): in pieno centro storico, all’interno di una sorta di campus naturale, milieu intellettuale e fucina alternativa. Luogo allo stesso contempo di lotta e di governo; di studio e di cazzeggio. Un posto dove non ti iscrivevi per diventare un manager milionario, per quello c’era già la Federico II, ma perché volevi capire, confrontarti, conoscere. Conoscere qualcosa che era altro dal tuo contesto, altro dalle tue certezze. Perfetto per chi, forse come me, sentiva che quelle certezze inculcate se non dalla famiglia certo dalla società erano, alla fine, molto relative e voleva ascoltare campane diverse.

Io nn sapevo ancora tutte queste cose quando mi sono iscritto e devo ringraziare chi mi ha convinto in pochi minuti e con un solo sguardo a snobbare l’ateneo federiciano per votarmi a quel posto un po’ naïf, dove le sedute di laurea si svolgevano in una cappella sconsacrata, dove l’eccentrico era la regola e l’ordinario puzzava di stantio. Un posto dove le lezioni si tenevano seduti gli uni sugli altri e tu con la borsa occupavi la mattonella anziché la sedia o la poltrona. Corsi con docenti istrionici come Franco Mazzei, estemporanei e eccezionali come Percy Allum e carismatici come Giorgio Mantici e per i quali rimbalzavi da un lato all’altro del centro storico, da un palazzo stupendo al successivo. Dalle Mura Greche alla Matteo Ripa. Dall’aperitivo al Vibes alla pizzetta di Sica. Islamisti, sinologi, yamatologi. Una mischia-francesca di interessi e di ragazzi da tutta Italia.
A suo tempo, infatti, per studiare cinese o giapponese toccava andare in alternativa solo a Venezia alla Ca’ Foscari, ma se volevi fare Scienze Politiche con cinese o giapponese quadriennali nn avevi alternative. Dovevi venire a confrontarti con Napoli e con l’Orientale, pure se “stavi di casa” a Milano o a Verona.

All’Orientale sono stato una vita. È stata la mia palestra nella palestra. Quando l’ho salutatA (per me è donna, come Napoli) l’ho fatto perché era ora e perché ormai tempo di conoscere e toccare con mano qualcosa di diverso.

Poco dopo sono andato via anche da Napoli. Ma solo per modo di dire.