Un fatto di appartenenza 

  

Sarà che l’ultimo Sanremo che ho visto risale a talmente tanti anni fa che I Ricchi e Poveri erano ancora in 4. Sarà che l’età avanza e quindi inizio a fare gli inevitabili confronti con un’Italia che non c’è più. E però questa edizione di Sanremo mi ha colpito. E non solo per quello spettacolo divino di femmina che è Madalina Ghenea (se il bello salverà il mondo allora stiamo apposto). E neppure per le canzoni, che non mi piacciono quasi mai (ma forse solo perché andrebbero ascoltate di più e guardate di meno – eppure Enrico Ruggeri non era affatto male). 

Quello però che mi ha davvero fatto pensare è stato il paradosso di vedere chi, con un trucco eccezionale, faceva una parodia (esilarante) di altri e chi, al contrario, a seguito di numerosi interventi di chirurgia plastica saltava agli occhi come la parodia di se stesso o di chi era una volta. E non parlo di qualcuno in particolare. Il problema è che di rifatti (neanche poco)ce n’erano parecchi. 

In linea di principio non ho nulla contro chi si sottopone ad un intervento di chirurgia estetica. Ci sono motivi validissimi. Eppure vedere il viso di chi mi circonda assomigliare sempre di più alle immagini delle caricature di piazza Navona un po’ mi inquieta. Vederne una dozzina buona in un paio di serate al Festival della Canzone Italiana, mi ha dato invece la cifra della (brutta) china che abbiamo preso. 

È vero: io non vivo certo della mia immagine, altrimenti sarei defunto da un pezzo, e quindi non posso capire cosa provi un’artista, che ha fatto della sua immagine il cardine delle sue sicurezze, vedendola inevitabilmente sfiorire anno dopo anno. Eppure ho imparato ad accettare me stesso con tutti i miei infiniti difetti estetici e caratteriali e, giuro, non era così scontato e neppure facile, almeno ultimamente. 

E allora mi chiedo se quello di “rifarsi” in maniera massiccia fino a deturparsi, sia davvero solo un problema di sicurezza in se stessi o sia diventato anche altro. Una sorta di status symbol. Un fatto di appartenenza, per citare una canzone. 

Quello che invece proprio mi indigna è che i/le “rifattoni/e” non fanno più scalpore. La pubblica opinione di questo Paese insorge per un bacio saffico gridando Vergogna mentre si dibattono le Unioni Civili ma si è abituata a vedere persone che hanno pagato profumatamente per farsi deturpare e spesso le promuovono, quasi fossero un modello da seguire. 

E nessuno, qui oppure Oltretevere, si sognerebbe mai di intervenire per condannare una sfinge coi canotti o un settantenne liposoluto e con gli zigomi all’altezza delle orecchie. Ma allora perché, se devo vedere Frankenstein sempre più spesso pavoneggiarsi come un’icona, l’unione civile di due persone normali accomunate dal sesso mi dovrebbe spaventare? 

Ma sì, forse sono di parte. Alla fine è solo “Un fatto di appartenenza”.