Horror Vacui

Ho sempre avuto il panico da foglio bianco. Non so da cosa dipenda. Magari è la più classica delle ansie da prestazione maschili, eppure è così. Quel bianco abbacinante, quell’horror vacui, mi hanno sempre frenato, ritenendo che in fondo gli altri avessero di meglio da fare che leggere… me.

Eppure avevo bisogno di scrivere. Per chiarirmi le idee. Ed è per questo che ho iniziato, per una mia squisita esigenza. Egoistica, al 100%. Il bisogno di razionalizzare un periodo di elucubrazioni eccessive. In cui la disoccupazione stava diventando qualcosa in più del mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro. Stava diventando una mancanza mia. Al liceo avevo studiato la scrittura come catarsi dalle passioni, eppure non avrei mai creduto che funzionasse davvero.

Sia chiaro, non ho nulla contro lo sfogarmi con chi mi sta vicino. Ho amici meravigliosi che mi ascolterebbero per ore ma, per carattere, cerco di risolvere da solo i problemi. E questo per diversi motivi. Intanto perché sono convinto che cavarmela da solo sia spesso alla mia portata. E poi perché, in fondo, ognuno di noi ha i suoi problemi e, se non è davvero necessario, non mi piace aggiungerne le mie paturnie a quelle già sopportate dagli altri. Infine, se il problema non è risolvibile, perché perderci tempo e, soprattutto, perché farne perdere agli altri?

Ma ci sono casi in cui la sindrome da foglio bianco non si è affatto manifestata e ho scritto fiumi e fiumi di parole, magari discutibilissime, ma senza alcuna perplessità. È successo diversi anni fa. Quando ho tenuto una sorta di diario in comune con Gina, una cosa bellissima. L’incipit della descrizione quotidiana lasciava in breve luogo alle considerazioni più disparate. In quel caso la stesura del testo avveniva con grande naturalezza, forse perché scrivevo a qualcuno che sapevo accettarmi senza remore (o quasi).

Insomma, tutto questo pistolotto per ribadire che scrivere è una cosa che faccio per me, che mi piace, ma che ai miei occhi implica un’onestà di fondo che a volte io per primo ho paura di applicare.

Perché anche guardarci dentro, a volte, può fare paura.